Perché il concetto di resilienza viene usato anche in ambito umanistico? E perché si sposa perfettamente con le sfide che la nostra società deve affrontare? Ancora più questo concetto si cala oggi nella realtà di ognuno di noi, in quella privata e intima, in quella professionale e sociale.
In tempo di Covid tutti sperimentiamo qualcosa che non abbiamo mai sperimentato insieme: l’incertezza, uguale per tutti, nessuno escluso. In realtà, senza rendercene conto, l’incertezza la sperimentavamo anche prima ma non ne avevamo piena coscienza.
La resilienza è un concetto nato in ambito fisico e meccanico per descrivere la capacità di un materiale di resistere ad un urto; in realtà il materiale, sottoposto a quello sforzo, ad un certo punto si rompe ma la resilienza indica l’energia che assorbe a seguito di rottura e fino a dove quel materiale è disposto a sopportare pur di mantenere inalterato il suo sè.
Ecco che il paragone con l’essere umano appare semplice. Quanto siamo disposti a sopportare prima di cadere, prima di sgretolare la nostra identità? Siamo resilienti quando non aggiriamo l’ostacolo ma lo affrontiamo senza subirlo e mantenendo intatto il nostro sé più autentico esattamente come quel provino che ad un certo punto si rompe. E magari ci rompiamo pure noi, ma da quella energia, derivante dalla rottura, sperimentiamo nuove esperienze uniche e necessarie alla compattezza, salute e consapevolezza della nostra identità.
Siamo come quel provino che aveva bisogno di rompersi per capire cosa in lui era presente davvero.
E allora, soprattutto in questo momento storico che stiamo vivendo, siamo resilienti, affrontiamo questi eventi, incassiamo tutti i colpi, ma traiamo energia positiva per rinascere (perchè ad certo punto dovrà accadere) più forti, più vivi, più consapevoli e fiduciosi verso il mondo, verso la vita.